Già oggi energia da cioccolato, frutta e scarti industriali…

La pirolisi è un processo di trattamento termico utilizzabile per lo smaltimento dei rifiuti.
La PIROLISI, o distillazione secca, consiste nella decomposizione termica non ossidativa, cioè senza apporto di ossigeno, tranne quello già eventualmente presente nel rifiuto. Il processo avviene nel campo di temperature 400 – 800°C, e le molecole delle sostanze organiche vengono trasformate in
elementi più semplici. I prodotti della reazione sono:
idrocarburi solidi (“Char”): 20 – 30% in peso del materiale
iniziale, a base carboniosa;
liquidi: 50 –60% in peso, con sostanze organiche quali alcoli,
chetoni, idrocarburi condensabili;
gassosi (“gas di pirolisi”): 15 – 30% in peso, costituito
prevalentemente da idrogeno, monossido di carbonio, anidride
carbonica, idrocarburi leggeri
Sebbene le tre frazioni siano presenti come risultato del processo di pirolisi, è possibile incrementare la resa di una di esse, selezionando opportunamente le condizioni del processo quali: la temperatura finale di reazione;la velocità. di riscaldamento della biomassa; il tempo di residenza del materiale alla temperatura di reazione; la dimensione e la forma fisica della biomassa da trattare; la presenza di determinati catalizzatori. Il controllo della rapidità del processo permette di massimizzare nella reazione la formazione delle frazioni più leggere (liquidi e gas; pirolisi veloce, a temperature più elevate) o pesanti (char e liquidi: pirolisi lenta). La pirolisi è un processo che complessivamente richiede l’apporto di calore dall’esterno; tale energia è ottenibile per combustione di parte del gas di
pirolisi. Le più comuni modalità di esecuzione del processo di pirolisi sono: la pirolisi convenzionale, a temperature moderate minori di 600 °C, con moderati tempi di reazione; da cui si ottengono approssimativamente le tre frazioni in uguale proporzioni;· la carbonizzazione, il più antico e conosciuto processo di pirolisi, che avviene a temperature comprese tra i 300 e 500 °C. Da tale processo si recupera solo la frazione solida (carbone vegetale), per cui si procede in modo da minimizzare le altre frazioni;la fast pirolisi, a temperature relativamente basse (da 500 a
650 °C), in cui le reazioni della gassificazione avvengono velocemente e con tempi di contatto brevi in modo da ridurre il riformarsi di composti intermedi, favorendo la produzione della frazione liquida fino al 70-80% in peso della biomassa in entrata; la flash pirolisi, realizzata in modo da mantenere gli stessi tempi di contatto della “fast pirolisi”, ma a temperature superiori a 700 °C e con tempi di contatto inferiori ad 1 secondo, in modo da favorire la produzione di una frazione liquida intorno all’80% in peso della biomassa in entrata, ma con una variazione di composizione più ristretta. Praticamente con il processo di pirolisi si trasforma un combustibile a bassa densità energetica (3.000-4.000 kcal/kg) in un altro a più elevato contenuto energetico specifico (8.000-10.000 kcal/kg), riducendone di conseguenza i costi di trasporto.

La grande distribuzione nel Regno Unito è già avanti !

Anche la catena di supermercati Sainsbury ha avviato un progetto per rendersi autonoma dalla rete elettrica nazionale. Il suo punto vendita di Cannock, cittadina a circa 30 chilometri a nord di Birmingham, in Inghilterra, presto verrà alimentato esclusivamente attraverso l’energia generata dalla digestione anaerobica dei rifiuti del supermercato stesso: scarti degli alimenti rimasti invenduti a fine giornata che non è possibile donare.

Sempre oltre Manica, la britannica Greenergy ha annunciato di aver iniziato a produrre biodiesel a partire dagli avanzi di cibo, tra cui patatine fritte, torte, paste e altri prodotti alimentari non vendibili (perché scaduti o comunque non conformi agli standard di vendita). L’impianto processerà oli e grassi contenuti nei cibi, li purificherà e infine li convertirà in biofuel.
In Alsazia energia dai crauti ! Anche in Francia la metanizzazione si sta espandendo. Ovviamente, seguendo le specialità locali: in Alsazia l’energia è prodotta con i crauti, al Nord con l’indivia e nelle Alpi con il formaggio. Anzi, i primi ad aver adottato questa tecnica sono stati proprio i monaci dell’abbazia di Tamié, in Savoia. Al posto di buttare via il siero, residuo della produzione del loro cacio, hanno deciso di trasformarlo in gas e oggi se ne servono per riscaldare l’abbazia. Oltralpe ormai si contano più di 150 impianti di metanizzazione, per riciclare gli scarti alimentari e agricoli.

E in Italia a che punto stiamo? Il Bel Paese è il secondo mercato europeo, dopo la Germania, e il terzo mondiale, dopo la Cina, in impianti di biogas. Secondo lo studio Althesys, per cui, soltanto con la produzione di energia elettrica rinnovabile, il settore è in grado di innescare al 2020 un valore economico di 3,2 miliardi di euro al netto degli incentivi. E le realtà di autoproduzione di energia da scarti alimentari non mancano.

Un esempio è lo stabilimento Inalca di Ospedaletto Lodigiano (Lo), capace di sopperire al 70% del proprio fabbisogno energetico grazie alla combinazione di cogenerazione e biogas dai rifiuti di lavorazione delle carni. L’impianto ha richiesto un investimento di 4,5 milioni di euro e permette di auto-produrre energia fino a 7,5 GWh all’anno interamente da fonti rinnovabili, con un risparmio del 18% di TEP (Tonnellate Petrolio Equivalenti) e la riduzione di emissione di CO2 pari a 16mila tonnellate. Oltre a un abbattimento dei rifiuti del 95 per cento. In Emilia, Caviro, famosa realtà vinicola, dal maggio 2010 utilizza un impianto che funziona con gli scarti derivanti dalla stessa produzione del vino. In tal modo, l’azienda è in grado di rendersi indipendente energeticamente.